Pentaprisma 12 - L'infinito Realismo di Giovanni Chiaramonte
Partiture, sinfonie, metafisica, frenate improvvise
Hoi care lettrici e cari lettori,
Vi capita mai di pensare che ci siano dei momenti della vostra vita in cui qualcuno sembra aver impostato la velocità 2x?
Oggi è il 25 di Ottobre ed onestamente le settimane passate mi sembrano un unico blocco compatto di cui faccio fatico a distinguere gli elementi. Mi mancano molto i tempi pre-lavoro-full-time, in cui avevo tempo di accorgermi del cambio di stagione. della luce diversa, dello scorrere del tempo. Ricordo con affetto pomeriggi autunnali a casa dei miei genitori, circondato da alberi meravigliosamente ingialliti e tramonti da togliere il fiato. Ora il tempo è occupato in gran parte dal lavoro ed è sotto assedio da parte di un milione di impegni. L’autunno dura in media una settimana, stretto tra un’estate di durata purgatoriale e il maltempo che arriva in modo eccezionale ed imprevisto (per quanto l’uso di “eccezionale” e “improvviso” sia veramente ipocrita, dal momento che lo sappiamo benissimo costa sta succedendo).
Chi vi scrive è un perennemente influenzato Alessandro Chiariotti, alla disperata ricerca di una mezza giornata libera per ricordarsi di com’era quando eravamo belli e giovani come gli eroi di Guccini. E questa è Pentaprisma, la mia newsletter di indagini fotografiche.
Ispirazioni
Lo scorso 18 Ottobre, mentre bighellonavo per l’aeroporto di Francoforte ho appreso con tristezza che ci aveva lasciati Giovanni Chiaramonte, un pezzo di storia della fotografia italiana contemporanea.
Giovanni Chiaramonte (1948-2023) l’ho conosciuto durante la mia fase (mamma non è una fase -ndr) di apprezzamento per Luigi Ghirri, che ave a una rapporto quasi fraterno con Chiaramonte. Nel 1984 fa infatti parte del famoso “Viaggio in Italia”, l’impresa di esplorazione urbana che ha coinvolto molti dei maggiori fotografi del temp. Nel 1978 invece, fonda proprio con Ghirri la casa editrice “Punto e Virgola”, ambizioso progetto di editoria fotografica naufragato presto ma di importanza assoluta per la fotografia stessa.
A livello fotografico, la cosa che più viene accostata a Chiaramonte è un’espressione altisonante e ad un primo sguardo incomprensibile: Realismo Infinito. Guardando le sue opere, si potrebbe pensare a Chiaramonte come un fotografo documentarista, ma non è del tutto così. O meglio, non solo.
I paesaggi che vediamo nei suoi vari lavori hanno a che fare, oltre che con la documentazione del reale e del banale, anche con l’interpretazione soggettiva, con il fatto che la reatà non è un fatto oggettivo, ma anche uno spazio metafisico e psicologico. Lui stesso ha scritto che “La fotografia non può più, o non ha mai potuto, rappresentare il mondo, ovvero l’altro, il diverso da sé, ma la fotografia può rappresentare solo se stessa, la materia fisica che ne forma la struttura primaria e costituiva”.
E qui si innesta l’utilizzo della luce nelle immagini di Chiaramonte: essa è il ero soggetto. la chiave di volta che permette di trascendere il reale delle immagini per arrivare allo spazio inconscio che si cela dietro la realtà oggettiva delle cose. Ecco perché Realismo Infinito: l’insieme delle sensazioni inconsce e del metafisico che si cela dietro il reale. Non stupisce quindi come i riferimenti di Giovanni Chiaramonte fossero Kierkegaard, Tarkovskij e Antonioni, la filosofia, la teologia, l’arte antica.
Quelle che vedete nella newsletter sono alcune delle immagini tratte da “Westward”, il progetto di Chiaramonte negli Stati Uniti, che dimostra quanto fosse profonda fosse la sua conoscenza del mondo della fotografia contemporanea -al tempo- americana. Il modo in cui viene interpretata la topografia americana con i suoi vuoti, i suoi spazi immensi in cui l’antropizzazione diviene marginale, ci spinge a riflettere, ad indagare il rapporto tra la cultura americana ed il territorio, tra il mito del far west e il significato attuale di frontiera. Come sempre, cercare di spiegare a parole il significato di un progetto del genere significa banalizzarlo e semplificarlo. Ma, fortunatamente, Westward è disponibile gratuitamente sul sito di Giovanni Chiaramonte, insieme a diversi altri suoi lavori. Dategli un’occhiata con i vostri occhi e cercate di capire cosa vi trasmette un progetto del genere. Per me, continuerà ad essere una delle ispirazioni che mi fa prendere la macchina fotografica e dire “andiamo.”
Esplorazioni
C’è stato un periodo breve, brevissimo, al limite infinitesimale, in cui con C. abbiamo finto di vivere in un racconto di John Cheever, uno di quelli ambientati nell’amenità dello stato di New York, tra laghi, treni accelerati e strade che serpeggiano nei boschi.
Il “nostro” upstate è stato quel tratto di campagna poco a nord di Roma, stretto tra la via Braccianense, le antenne di Radio Vaticana e il piccolo reattore nucleare della Casaccia (prima che me lo chiediate, sì.). Il lago c’era, la strada che serpeggiava nel verde estivo tra querce, aceri e platani anche.
Un afoso venerdì di Luglio, è successo quello che in codice definisco “CAZZO-GUARDA-ASPETTA-MI-DEVO-FERMARE-ECCO-QUA-VA-BENE-ARRIVO-SUBITO”: dopo un paio di curve in salita che si snodavano tra campi coltivati, ecco apparire quella che sembrava un qualche tipo di rovina romana, investita dalla luce gloriosa che accade solo in certi momenti dell’estate. Il problema della campagna Romana è che letteralmente è un reticolo di strade delimitate da fossi. Cosa che non sembra minimamente interessare gli automobilisti che ci sfrecciano a velocità siderali, neanche fossero gli adepti di Immortan Joe. Dopo qualche parola poco gentile riesco finalmente ad accostare davanti ad un vecchio cancello e ci avviamo -rigorosamente camminando in strada- alle antiche rovine. Lì conosciamo un collega fotografo, stupito tanto quanto noi di aver trovato persone che non venivano a berciare su cosa stesse facendo. Il tempo di un paio di convenevoli tra fotografi, che francamente vi risparmio, e scopriamo anche il nome del posto: “Villa Romana delle mura di Santo Stefano”. Non male.
A grandi linee, questo è quello che accade quando si viaggia per strade secondarie. Ed è anche il motivo per cui conviene avere sempre una macchina fotografica con sè. Pure se non siete Cheever, pure se non abitate nello stato di New York
Ed ecco, in breve, come funziona il processo creativo dietro scatti di questo tipo: ci vogliono sguardo pronto e scevro da preconcetti, una buona dose di improvvisazione ma, sopratutto, una non indifferente capacità di guida. Utile a non uccidersi per lo scatto.
Progetti
Negli ultimi giorni, schivando malattie, trasferte di lavoro e altre amenità, ho cominciato a dare uno sguardo a quanto scattato negli ultimi mesi. Forse vi ricorderete di quando vi ho parlato di cominciare a documentare il quartiere sonnacchioso e liminale (ne ho parlato qui). Ecco, comincio ad avere sotto gli occhi qualcuno degli scatti iniziali del progetto e, beh, la situazione è strana. Alcuni degli scatti decisamente mi piacciono e riecheggiano le sensazioni che mi hanno dato i luoghi ritratti. Altri, be’ decisamente no.
Tuttavia non bisogna cadere nella trappola per la quale un progetto deve essere composto unicamente da quelli che sui social vengono definiti “bangers”, le foto alle quali le persone reagiscono con l’emoji della fiamma e ti scrivono “wow, wonderful light buddy!”. La buonanima di Ansel Adams mi perdonerà per prendere in prestito le sue parole, ma penso che le sue parole che identificavano lo scatto e la stampa di una fotografia come l’esecuzione di una partitura musicale mi permettono un parallelo a mio avviso interessante.
Adams diceva che un negativo è una partitura e la stampa in camera oscura l’esecuzione della stessa, che quindi non ha una forma oggettiva, ma variabile e interpretabile in modi diversi. Se rimaniamo nell’ambito di questa metafora. possiamo identificare un progetto fotografico come un insieme di pezzi musicali (un album? un’opera? fate voi). Nell’economia generale, non tutti gli elementi devono necessariamente dominare uno sull’altro, ma è anche, e sopratutto, una questione di bilanciamento.
Un progetto fotografico può avere immagini che brillano, immagini che fungono da collegamento, immagini che suggeriscono ed immagini che semplicemente fanno da collante. L’importante è trovare il ritmo.
Non mi sbilancio sul progetto, perché comunque deve passare molta pellicola prima che possa avere una forma.
Marchingegni
Tutte le foto contenute in questa newsletter sono state scattate su pellicole bianco e nero: le immagini della villa Romana sono scattate su Kentmere 400, quelle del mio progetto personale sono invece scattare su Fomapan 100 e sull’immarcescibile Ilford Hp5+.
In particolare, la Kentmere 400 è la versione “entry-level” della Ilford, con un po’ meno argento nell’emulsione e e un prezzo contenuto. Se volete provare a scattare in bianco e nero e non lo avete mai fatto, lei è la scelta giusta. No, ovviamente questa newsletter non ha sponsor e non mi pagano.
Tutte le immagini provengono dalla Mamiya RZ67. Per la gran parte di quest’anno, è stata su una mensola a prendere polvere e solo ultimamente ho ripreso a portarla in giro. Ha più o meno il peso di un infante, la maneggevolezza di un blocco di marmo e il rumore dell’otturatore fa scappare gli animali nel raggio di 200 metri. Poi guardo le immagini, mi stupisco della nitidezza e della quantità di dettagli che riesce a registrare e dico che tutto sommato ne vale la pena. That’s amore, no?
Un altro pezzo agreste e autunnale che ho ascoltato durante queste due settimane:
Bene, siamo in chiusura anche per questa volta, vi ricordo ancora che sono ancora disponibili delle copie della Fanzine, se siete interresat* fatemi sapere che ci organizziamo!
Come sempre, per commenti, opinioni, insulti, frizzi e lazzi non esitate contattarmi per e-mail o nella sezione commenti di questa Newsletter. Se non lo fai già, seguimi anche su Instagram.
Ci sentiamo tra due settimane! Viva!
Alessandro Chiariotti.